Scacco matto al Giudice Interiore 


Non vai bene così come sei, devi cambiare, essere più bravo, più produttivo, più, più più.
Non sei abbastanza, non meriti il successo, non sei all'altezza, no,no,no...
Oddio che stress!

La senti questa voce?

Quando si parla di Giudice Interiore, generalmente, ci si riferisce a lui come a una voce interiore che attimo dopo attimo vaglia tutto ciò che facciamo, diciamo o pensiamo e la giudica in base a parametri appresi nel tempo. Parametri dettati da luoghi comuni, società, educazione ecc.
Questa voce è quasi sempre quella di papà e di mamma che, espressa o no, abbiamo sentito fin dall'infanzia.
Un sacco di volte mi sono sentita stupida di fronte a papà, e ho creduto per molto tempo si esserlo veramente.
Ancor oggi devo fare i conti con questa convinzione limitante.
Ho scritto e pubblicato un romanzo, insegno in enti di formazione professionale per counselor e operatori olistici, organizzo laboratori di esplorazione personale, tengo conferenze quando me lo chiedono, ergo non son poi così stupida.
Eppure, una parte di me ci crede ancora e manipola i miei stati d'animo, le mie azioni e perfino le mie percezioni.
Mi ha mai detto papà che sono stupida?
In realtà no!
Eppure, io bambina e poi adolescente, ho tradotto la sua disapprovazione in "SONO STUPIDA!".

Quindi?

Quindi non è così importante ciò ci è stato detto espressamente: rilevante è ciò che noi stessi abbiamo interiorizzato formulando limitazioni che ci tengono sotto scacco.
Se aderissi continuamente alla quell'idea di essere stupida, non farei nulla e non mi azzarderei mai a scrivere una parola.
Invece sono qui con te per dirti: è ora di mettere, noi, sotto scacco il giudice che ci attanaglia.
Noi siamo più forti di lui ma spesso ce ne dimentichiamo.

Perché?

Perché questa voce interiore, questa "entità" occulta, è parte integrante della nostra personalità.
La psicologia la chiama Superego: che sta sopra all'ego - sopra la personalità. La sovraintende come un capitano d'armata.
Suggerisce cosa è buono o non buono per noi e ci dà o toglie medaglie secondo i nostri successi o fallimenti.
Sì: a volte ci premia, e questo allevia un po' la nostra tensione, ma in realtà ci paragona sempre a qualcosa o a qualcuno.
Chi vince la medaglia dei 100 metri si confronta con altri quindi è "meglio" di altri. Se corresse da solo non avrebbe nessuna medaglia e non si curerebbe di essere migliore di altri: si godrebbe la soddisfazione di essere veloce come il vento, e basta, non credi?
Ma torniamo al giudice: lui fa sempre paragoni: "non sei abbastanza, non sei all'altezza, non sei degno, non meriti amore..." di chi, di cosa?
Noi SIAMO amore, siamo all'altezza, siamo degni e siamo grandiosi... non solo abbastanza!
Quindi occhio: è ora di farla finita e di vivere alla grande.

Allora non dovremmo più ascoltarlo, azzittirlo e vai con dios?

Dovremmo vivere senza coscienza e non curarci più di niente e di nessuno?
No: non è così.
Vivere con coscienza è un'altra cosa e lo sappiamo bene tutti quanti.
Vivere con coscienza è ascoltare un'altra voce interiore che sgorga dal profondo del nostro essere e che conosce l'etica universale.
Sa cosa è vero e cosa è falso, ben diverso dal giusto e sbagliato o dal buono e cattivo che suggerisce il giudice interiore.
Per l'Essere non esiste buono o cattivo: tutto è esperienza e serve ad evolvere.
Ciò che il giudice suggerisce come sbagliato, per l'Essere è apprendimento.
Non ti sei mai accorta che è più facile dimenticare i successi e ricordare benissimo i fallimenti?
Quanto ci rode fallire!!
Ecco: il giudice ci martella ogni volta che sbagliamo e ci fa sentire dei falliti, mentre l'Essere analizza l'errore e impara per migliorarsi.

Come riconoscere la voce del giudice interiore da quella dell'Essere

Innanzitutto precisiamo: entrambe non sono vere e proprie voci interiori.
Siamo noi che col pensiero e con la bocca le prestiamo voce.
Sono sensazioni fisiche molto precise, emozioni e stati d'animo che non possiamo controllare, proprio per la loro natura automatica e improvvisa.
Ogni tentativo di dominarle, di tenerle sotto controllo, è vano e assurdo.
Comunque, a parte questa divagazione, il corpo - le sue manifestazioni fisiche emozionali e mentali - è come un foglio bianco su cui si scrivono i giudizi, le ammonizioni, i doveri, le paure ecc. ecc.
Più prestiamo attenzione a come stiamo fisicamente, più comprendiamo quale delle due voci sta "parlando": se c'è tensione è lui, il giudice interiore, se c'è rilassamento siamo noi, il nostro Essere.
Spalle tese, mal di stomaco, difficoltà di digestione, scarsa attenzione, ottundimento mentale, ansia, dubbio, rabbia... l'elenco è lunghissimo: questi sono tutti sintomi della presenza del giudice interiore che, se lasciate a se stessi, si trasformano in malattie vere e proprie.
Rilassamento, morbidezza, chiarezza di intenti, gioia, forza, amorevolezza, coraggio, pace, fiducia... e molto altro, sono espressioni del nostro essere.
Da che parte vuoi stare? E' inutile chiederlo, vero?
Ok.
E' ora di agire, di imparare a distinguere l'uno e l'altro stato per vivere finalmente in libertà.

Questo facciamo nel laboratorio di scrittura che sto organizzando nel mio studio a Villafranca in ottobre 2018.
http://www.counselart.it/liberta-di-essere-chi-sono/

Dagli un'occhiata e se ti piace partecipa.
Se abiti distante da Villafranca o da Verona e vuoi organizzarne uno nella tua città o associazione, scrivimi e vediamo cosa si può fare.
Ovviamente se sei lontana non posso venire tutte le settimane: possiamo però organizzare dei laboratori intensivi di una giornata.
Amo tantissimo questo lavoro e lo reputo il primo gradino per la propria evoluzione, quindi mi piacerebbe condividerlo con più persone possibili come contributo mio a un mondo più evoluto e cosciente.
Ciao e buona vita!

 

Photo credits: The Musk by egoanianqueetus

Indossiamo maschere e spesso non lo sappiamo. 

Crediamo di essere in un certo modo ma siamo tutt'altro.

Quante volte ci siamo atteggiati forti e risoluti mentre dentro di noi tremavamo dalla paura?
Quante volte di fronte a una situazione avversa abbiamo risposto con una spallata mentre dentro di noi avremmo urlato come ossessi?
Quante volte abbiamo affermato di non avere bisogno di nessuno mentre il desiderio di essere amati era infinito e devastante?
Tante volte, anzi tantissime, e l'elenco non si fermerebbe qui, ma puoi continuare tu: sono sicura che hai esempi validi e molto calzanti derivanti dalla tua esperienza.

Perché accade?

E' questione di fiducia, di amor proprio, di autenticità?
Tutte e tre le cose e nessuna nello stesso tempo. Mi spiego:
fin da piccolissimi, genitori, nonni, insegnanti ecc.ecc., ci hanno insegnato ad essere e ad agire in un certo modo in base alla società in cui vivevano e ai principi comuni ritenuti validi. Pochissimi hanno rispettato la nostra natura unica, inimitabile e autentica.
Se eri estroso ed eccitabile dovevi essere domato per non dare fastidio, ma se eri solitario e melanconico dovevi partecipare a mille eventi per sciogliere la timidezza.
Se eri curioso della vita ma non delle teorie formulate da altri dovevi applicarti ore e ore nello studio mentre avresti passato il tempo a caccia di farfalle o a giocare a pallone con gli amici, ma se amavi passare il tempo sui libri  e non ti interessavano le attività fisiche ti hanno iscritto a tutti gli sport anche i più odiosi per te.
Tutto in nome dell'amore!
Che dico: amore? Questo non è amore, lo sai già da te, eppure ci hanno amato tantissimo, peccato che in nome di quell'amore abbiano cercato di replicarci come soldatini, e l'effetto lo vediamo ovunque: dentro di noi siamo lupi ma ci comportiamo come pecore, oppure siamo miti e ci comportiamo da leoni. In pratica ci travestiamo come a carnevale ma lo facciamo nella vita di tutti i giorni.
Abbiamo imparato ad essere come gli altri si aspettavano da noi e abbiamo dimenticato chi siamo veramente.

In pratica indossiamo maschere di diverso tipo a seconda della situazione.

Torniamo indietro un po' e andiamo alla radice del problema.
Come si forma questa "falsa identità"?
Nei primi anni di vita il bambino è in stretto contatto con i genitori che fungono da regolatori; comincia ad apprendere che ci sono cose permesse e apprezzate e altre proibite o rifiutate.
Il suo bisogno primario, oltre al cibo, è l’amore; non riceverlo è per il bambino una sorta di morte accompagnata da sentimenti di bisogno, solitudine e disperazione, per cui, dipendendo da loro, comincerà a essere molto sensibile a tutte le sottili variazioni di quantità e qualità di amore che riceve.
Presto si renderà conto che gli atteggiamenti della mamma e del papà nei suoi confronti (più della mamma per la sua stretta vicinanza) cambiano a seconda del proprio comportamento quindi, velocemente, imparerà come procurarsi attenzione e amore da loro avviando quel processo di auto-manipolazione che stabilirà il formarsi della propria personalità.
Non ricevendo ciò di cui ha bisogno, il meccanismo di sopravvivenza darà un segnale di allerta suggerendo un messaggio del tipo “se vuoi vivere devi fare qualcosa”, così, inconsciamente, comincerà ad eliminare alcune parti di sé in nome di quella sopravvivenza.
I comportamenti, gli impulsi, le idee e le azioni indesiderabili (come negli esempi accennati sopra) saranno quindi inizialmente rifiutati e soppressi e successivamente repressi, diventando non più disponibili alla consapevolezza.
Il bambino, nelle diverse situazioni, avrà infatti sviluppato diverse maschere di camuffamento - atteggiamenti re-attivi - nascondendo i propri bisogni reali e la propria natura autentica.
Il solitario per superare la propria timidezza potrebbe diventare arrogante, l'amante della conoscenza perdere interesse nello studio, lo sportivo diventare un pelandrone-pantofolaio e l'estroso un abulico;
o al contrario: il timido si chiuderà ancor più in se stesso, l'amante della conoscenza diventerà un tuttologo, lo sportivo farà cose estreme e l'estroso sarà un iper-cinetico senza pace.
In ogni caso, quella che era una caratteristica o inclinazione naturale che si sarebbe evoluta spontaneamente e armonicamente, diventa un ostacolo frapposto fra chi siamo e chi pretendiamo di essere.
Ok, il ragionamento fila liscio, ma tutto questo è successo da piccoli.

Ora che siamo adulti perché non riusciamo ad uscire da questa situazione e toglierci quelle maledette maschere?

Perché negli anni, oltre ad aver sviluppato una certa personalità e carattere, abbiamo introiettato i "posso non posso" e i "giusto e sbagliato" dei nostri genitori trasformandoli in una sorta di voce interiore che ci accompagna costantemente giudicando il nostro operato. In questo modo mamma è papà saranno sempre con noi e non ci lasceranno mai.
Il prezzo che paghiamo, però, è il continuare ad agire, nella nostra vita e in ogni situazione, come bambini bisognosi d'amore e di riconoscimento, seppur desiderosi di autonomia e di libertà.
Eh già: è sempre questione di amore e di libertà.
Quindi, per uscire da tutto ciò è  innanzitutto necessario renderci conto che dentro di noi esiste questo conflitto fondamentale tra controllo e libertà/amore.
Il secondo passo è riconoscere che in noi esiste una struttura che impedisce la capacità di percepirlo. Inconsapevoli della presenza e coercizione di questo conflitto, siamo dominati da quella prevaricante voce interiore che ci fa indossare maschere a seconda della situazione, stabilendo come dovremmo essere, e raramente ci permette di ascoltare la gentile voce dell’anima che invece sosterrebbe e incoraggerebbe il nostro essere naturale.
Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.
Nel frattempo mi piacerebbe conoscere qualche tua esperienza: come re-agisci quando ti senti inadeguata, non capito, non considerata ecc.ecc.ecc.? Quali sono le tue MASCHERE preferite?
Scrivi la tua esperienza qua sotto e condividila con me.
Grazie e buona vita!

Ps: Se ti interessa approfondire, da ottobre a dicembre organizzo un laboratorio di scrittura creativa improntato proprio su questi argomenti. Riservato a solo 6 persone, per pochi così possiamo entrare bene in profondità.
Non perdere l'occasione.
Nel mio studio a Villafranca, il lunedì sera: Libertà di essere chi sono - scacco matto al giudice interiore
 http://www.counselart.it/liberta-di-essere-chi-sono/

Photo Credits: Nirman Design

Verde smeraldo - l'amore compassionevole 

Oggi voglio cominciare l'articolo con un pezzo tratto da "Fili di Vetro - il Nero, la Pace" il mio romanzo di esordio:
"... Kai non ascolta, non vuole ascoltare. <Non so cosa significhi amare>, dice sincero rivolto più a se stesso che alla compagna.
Chiara si rigira, lo investe con occhi selvatici e lo costringe a guardarla nonostante il fastidio crescente che le arrossa le gote.
<Sei incazzato?>, chiede a bruciapelo.
<Perché?>.
<Dici stronzate di prima mattina>.
Kai sospira, la guarda afflitto e vede la propria immagine riflessa nelle sue pupille dilatate. <Non è una stronzata!>, urla riprendendole la mano, stringendola fino a farle male. <Tu sai dirmi cosa significa amare? Dimmelo! Ho bisogno di te, ma questo tu lo chiami amore?>..."

Ho bisogno di te, ma questo tu lo chiami amore?

Eh, già: troppo spesso scambiamo l'amore per bisogno.
Il bisogno:
di appartenere a qualcuno
di possedere qualcuno
di non sentirci soli
di avere un valore
di essere considerati
di essere rassicurati ecc. ecc.
Questo, che molti chiamano amore, è un bisogno insoddisfatto, ed è malato al punto di far compiere atti orribili - come leggiamo spesso sui giornali o sul web.

Da dove nasce una così distorta visione?

Nasce da piccolissimi, forse già nel grembo materno e, via via crescendo, viene alimentata da tutte le credenze collettive che serpenteggiano nelle scuole, fra gli amici, in famiglia e in tutta la società moderna e col tempo diventa una sorta di merce di scambio che risponde a richieste e a situazioni tipo:
"dammi il tuo amore e non ti lascerò solo" oppure "farò tutto per te così mi amerai per sempre".
Un amore così non può espandersi ed essere nutriente.
E' orientato costantemente all'esterno, ovvero ha bisogno di qualcuno a cui essere rivolto o fa in modo che qualcuno dipenda noi"; in ogni caso raramente sgorga da un luogo autentico e profondo che non si cura dell'effetto sugli altri né, tantomeno, desidera un qualsiasi riconoscimento.

Come riconoscere di essere "vittima" di un amore falso?

Analizzando i nostri comportamenti.
Per esempio:
- Alcuni cercano l'amore incondizionato sforzandosi di essere perfetti in ogni cosa rispondendo al bisogno: sarò perfetto così mi amerai.
- Altri si danno un sacco da fare per il prossimo scambiando tutto ciò per amore ma in realtà vogliono un ritorno: farò tutto per te così mi amerai.
- Altri ancora si ingegnano nel sintonizzarsi perfettamente con gli altri assecondando ogni loro desiderio: ti darò qualsiasi cosa desideri così mi amerai.
- C'è chi invece cerca di scostarsi il più possibile dai luoghi comuni e dalla massa: sarò speciale e per questo mi amerai.
- Chi idealizza il sapere e studia tutto il possibile basando la propria vita sulla conoscenza a discapito dell'esperienza: conoscerò ogni risposta così mi amerai.
- C'è chi, invece, sviluppa una grande capacità di sostenere l'altro in ogni situazione: solo io ti capisco e per questo devi amarmi.
- Qualcuno fa di tutto per apparire leggero e pieno di gioia anche quando il dolore lo piegherebbe in due: porterò amore e gioia nella tua vita così mi amerai.
- Qualcun altro diventa il top del suo settore, il protagonista più affascinante che c'è sulla piazza: sarò il migliore e tu mi amerai.
- Al contrario, qualcun altro diventerà il più ordinario e pacifico di tutti: non ti farò mai del male e per questo mi amerai.
Come avrai notato questo amore distorto è dominato da bisogni, paure  ed emozioni contrastanti ; non è un reale sentimento.

Il sentimento dell'amore è tutt'altro.

Nasce spontaneamente: può essere ampliato da una circostanza ma non dipende da essa.
E' immacolato: non ha pretese e non si aspetta un riconoscimento.
Dona un senso di grazia e di beatitudine: ben diverso dal bisogno di possesso o dalla gelosia.
E' gentile e delicato: ama incondizionatamente.
E' uno spazio interiore di apertura e di armonia: non teme di non essere riconosciuto.
Ha la capacità di risanare le ferite: non rivendica nulla e apre lo spazio di riconoscimento dei propri desideri profondi e sofferenze/mancanze prendendosene cura personalmente.
E' presenza pura che sostiene la verità: non toglie il dolore - quando c'è - ma dona la capacità di accettarlo e di comprenderlo.
E' dotato della capacità di essere compassionevole sia verso noi stessi sia verso gli altri: che non è aver pietà ma con-prendere, ovvero si prende cura di noi e di tutto ciò che ci circonda.

L'amore compassionevole è uno degli aspetti primari del nostro Essere, la dimensione profonda che manifesta l'amore per la verità e la saggezza gentile del nostro cuore.

E' una guida delicata e silenziosa, per questo non sempre la sentiamo.
La nostra mente è costantemente piena di pensieri, una sorta di rumore costante, che non sentiamo neanche più e che ci mantiene occupati a cercare soluzioni e strategie per tollerare le "mancanze" che percepiamo in noi .
La voce dell'amore è delicata e dobbiamo affinare bene il nostro ascolto interiore per poterla sentire.
Quando la riconosciamo in mezzo a quel rumore, e le diamo spazio, è come miele nel nostro sistema: con grande compassione smaschera i nostri bisogni più profondi e li accoglie invece di giudicarli o di allontanarli da noi.
L'amore, infatti, accoglie tutto e tutti, anche le sfaccettature di noi che non desideriamo o che cerchiamo di nascondere.

Vieni a sperimentare la dimensione dell'AMORE COMPASSIONEVOLE con l'ausilio della tecnica del Respiro Circolare Consapevole.
Mercoledì 21 giugno a Cristalli di sale - via Dolomiti, 37 Verona dalle 20,30 in poi.

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Automatismi? Quante volte agiamo, o meglio re-agiamo, in modo automatico a ciò che ci accade?

Spesso: anzi, quasi sempre.
L’automatismo è una forma sottile di difesa creatasi nel corso della nostra vita - ha una sua intelligenza e motivazione - ma, attingendo alle memorie passate, esclude la possibilità di essere creativi e curiosi di fronte a ciò che ci accade nel quotidiano.
E’ un’arma a doppio taglio: a volte necessaria perché ci mantiene al sicuro difendendoci da pericoli reali e contingenti, ma altre volte limita la nostra capacità di azione e la possibilità di espansione interiore e realizzazione. Il risultato di tutto ciò è un senso di castrazione interiore e di rigidità che ci separa dalle situazioni, dagli altri e ancor peggio da noi stessi.

Facciamo un esempio

Mettiamo caso che generalmente ti percepisci (e credi di essere) debole o non all’altezza e che la tua risposta di fronte a una qualsiasi avversità sia quella di “scappare dalla situazione”:
- fingendo che il problema non esista, tentando di dimenticarlo
- procrastinando la soluzione ad un secondo momento
- incolpando o giudicando l’altro per l’accaduto
- chiudendoti in te stesso con la convinzione di non essere in grado di affermare la tua posizione
e così via.
Tutte queste re-azioni (automatiche) mirano ad allontanare in qualche modo quel senso di debolezza o di incapacità, donando un momentaneo rilassamento interiore ma, contemporaneamente, lo amplificano in modo occulto mantenendo costante una certa sensazione di sconfitta e di inadeguatezza.
Infatti: se ben osservi te stesso, ti rendi conto che quel l’idea di “essere debole o non abbastanza capace” è sempre lì con te e non ti lascia mai.
Come fare per uscire da tutto questo?
Cominciando ad affrontare consapevolmente quella convinzione modificando quindi la tua immagine di te.
Mica facile, dirai tu, ed è vero: ci vuole una buona dose di forza e di volontà.
Eppure è semplice: l’unica cosa che in realtà puoi fare è comprendere ciò che chiami debolezza o limitazione: da dove deriva, come si è formata, che senso ha mantenerla viva oggi.
Entrando in profondità nell’analisi del contenuto di tale convinzione scopriresti la sua origine e creeresti la possibilità di cambiare rotta al tuo comportamento automatico.
Potresti scoprire che ciò che consideri “debolezza o limitazione” forse è qualcos’altro e diventeresti consapevole del tuo particolare meccanismo di fondo in modo da poter “scegliere” via via se è il caso di utilizzarlo oppure no.

Nel momento in cui smetti di credere di essere debole o non all’altezza il tuo modo di agire cambia.

Cominci a compiere azioni di cui non ti credevi capace, azioni che consideravi appannaggio di persone forti e risolute, che ovviamente non credi di essere tu. Tramutando la convinzione limitante in opportunità, distruggi il limite prefissato il giorno in cui hai formulato per la prima volta quell’idea e, quando i limiti svaniscono, sei padrone della tua vita: hai la possibilità di scegliere creativamente come essere e come rispondere agli eventi e, soprattutto, vivi l’esperienza intima di espansione fisica e mentale. Il corpo si sente più aperto e la mente più spaziosa. In altre parole diventi libero. Creatività e ricchezza interiore sono accessibili e condivisibili rompendo gli automatismi di cui sei schiavo.

Fare ciò, come ho detto prima, è semplice ma non facile.

Se hai abbastanza forza e determinazione puoi compiere da solo il percorso di riconoscimento e di risoluzione degli automatismi, ma il sostegno di un professionista può accelerare il processo e aiutarti a consolidarlo.
Nel Koan.Sé hai l’opportunità di vivere entrambe le situazioni alternativamente: vivi momenti in cui indaghi i tuoi schemi automatici in modo autonomo, e momenti in cui puoi chiedere il sostegno mio o di Abheeru per accelerare e consolidare le tue intuizioni.
Se rompere gli automatismi, diventare creativo e libero, è un tuo desiderio autentico, fatti il regalo di partecipare al ritiro di consapevolezza Koan.Sè: quattro giorni di grande espansione che possono cambiare la tua visione di te stesso e della vita.
Cambiare visione in quattro giorni? Sì, proprio così: bastano quattro giorni spesi bene per andare all’origine dei tuoi automatismi e scoprire la ricchezza che hai in te.

Se non mi credi guarda le testimonianze di chi ha partecipato agli scorsi ritiri sulla pagina fb:  https://www.facebook.com/Incontro.Consapevole/
Se vuoi informazioni per il prossimo processo intensivo copri tutto qua: http://www.counselart.it/info-e-iscrizioni-koan-se/

Storie e scrittura: intervista a Indira

In un’intensa e toccante “auto-intervista”, Indira Marcella Valdameri racconta il processo di scoperta e scrittura che l’ha portata alla realizzazione di ciò che definisce: “Più di un romanzo: un viaggio di ricerca e di riconoscimento della bellezza e della pace essenziale”.

Raccontare Fili di Vetro, il mio romanzo di esordio, non è semplice per me. L’ho presentato in varie occasioni e in diversi circoli di lettura o associazioni, quindi dovrei esserci abituata, eppur mi scopro sempre emozionata e un po’ timida.
Fili di Vetro sintetizza ciò che ho compreso, sperimentato e integrato in anni di meditazione e di evoluzione interiore.
Nella vita svolgo la professione di counselor olistico integrale, facilito intensivi di consapevolezza “Who is in?” - rinominati “Koan.Sé” con l’amico e collega Abheeru - conduco laboratori creativi di esplorazione e contatto delle qualità essenziali e insegno in diverse scuole di formazione per counselor e operatori olistici; avrei potuto scrivere un manuale di auto-sostegno, come fanno molti miei colleghi, eppure ho scelto l’artificio narrativo. Un po’ per passione ma soprattutto per il desiderio di raggiungere un pubblico più vasto che difficilmente approccerebbe temi come il Giudice Interiore, l’Essenza e in genere l’auto-analisi e la meditazione.
Fili di vetro è un romanzo a tutti gli effetti con una trama che si dipana in due storie parallele, ma è innanzitutto un percorso interiore che il lettore può fare insieme a me in compagnia dei protagonisti della storia.
È un viaggio di riconoscimento della bellezza che si compie attraversando quello spazio interiore che i mistici chiamano “la notte buia dell’anima”, sfocia nella pace autentica che è una delle qualità primarie dell’Essenza, e inizia considerando la morte da diversi punti di vista - annunciata, subita, temuta o anelata secondo i diversi personaggi.

- Quindi Fili di Vetro parla della morte?
- Diciamo che la morte è il perno intorno al quale ruotano le vite dei protagonisti, ma in realtà è un pretesto per esplorare l’animo umano e la sua capacità di trasformare le emozioni in sentimenti.
Nel quotidiano difficilmente si parla di morte e, soprattutto, non se ne parla ai bambini, mentre in realtà è l’unica cosa certa dopo la nascita. I nostri corpi non sono immortali: attraverso loro noi sperimentiamo ed evolviamo, ma prima o poi dobbiamo lasciarli. Questo ci fa molta paura: non sappiamo come e quando accadrà e cosa ne sarà di noi dopo che ce ne saremo andati. Chi ha avuto esperienze di satori o di estasi profonda sa che il corpo è solo una parte dell’Essere e che noi siamo molto di più, eppure pensare di lasciarlo crea in ognuno tensione e incertezza. Morire significa entrare nell’ignoto e nel misterioso; segna la fine di ciò che è conosciuto ed è un traguardo senza possibilità di ritorno.
Così, come temiamo la nostra, soffriamo per quella di una persona cara che ci vede spesso sprofondare nel dolore e nella mancanza. Nella mia professione ho incontrato molte persone imprigionate nel lutto trasformato in solitudine, abbandono e bisogno. In questi casi la morte è vissuta come uno spazio di vuoto esistenziale che cancella e annulla il proprio senso di valore e di capacità vitale.

- Cosa fare per esorcizzarla?
- Vivere! Vivere alla grande, con passione e intensità.
Mi viene in mente Meera Hashimoto, mia maestra di pittura, celebrata proprio in questo periodo in tutto il mondo sannyasin e dell’arte. In una sua intervista che gira sul web Meera dice che “vivere ha in sé la qualità del Sì. È un sì. Quando comprendi che la vita è un regalo allora vivi con passione. Puoi fare il primo passo verso la morte con cuore aperto e meravigliato, e perfino ridere di lei. Se vivi intensamente, con passione, puoi morire veramente in pace”.
Quindi la risposta alla morte è la vita, la passione, e questo è ciò che fanno i protagonisti del mio romanzo.

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Gioia infinita
Libertà di essere vulnerabili
Fondersi con l’altro senza perdere la propria individualità

Gioia: la qualità Gialla

“ Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri, che grazie alla loro arte e intelligenza trasformano una macchia gialla nel sole".
Pablo Picasso

Questa qualità è la presenza della gioia pura e della felicità; permette all’anima di essere curiosa, e attiva il sacro impulso verso la verità e l’innocenza.
Almaas - creatore del Metodo del Diamante da cui prendo spunto - la paragona al capitano di una navicella spaziale che ordina l’attacco indirizzando la nave verso una particolare area che deve essere esplorata.

In questo stato di apertura e di determinazione l’anima è assorta nell’esplorazione del mistero dove la curiosità è il “super carburante” della vita e dell'auto-conoscenza che diventa spontanea creatività.
Se si dimentica la giocosità dell’avventura, l’esplorazione delle proprie dimensioni, e la vita in generale, tende a focalizzarsi nell’ego e nei suoi problemi svelando solo lo stato esterno della personalità, impedendoci di andare più in profondità e di vivere, autenticamente e pienamente, le nostre esperienze.

La curiosità della qualità gialla è l’amore per la verità e l’intenzione di scoprirla con un atteggiamento giocoso.

È un po’ come tornare bambini; riscoprire la curiosità che si aveva da piccoli nel cominciare a conoscere il mondo.

È l’amore appassionato e immerso nell’esperienza che, seppur a volte dolorosa, contiene la verità dell’Essere e mostra libertà e spazio dentro di noi.
Questo spazio a sua volta accentua ancora di più la gioia della scoperta.
In altre parole: la gioia e la curiosità richiamano altra gioia e altra curiosità, sfociando nella felicità essenziale che è libertà di essere.

Hai mai osservato un bambino che gioca?

Non si chiede cosa stia facendo o il perché. Gioca per il piacere di farlo e il mondo intorno a lui scompare come se non esistesse altro che la sua curiosità e piacere.

Ecco: anche noi, se fossimo in contatto con questa profonda ed entusiasmante qualità, saremmo assorbiti dal piacere di sperimentare e non ci occuperemmo tanto dei giudizi (nostri o degli altri). Apprenderemmo molto più velocemente e in modo indelebile, perché ricorda: l'unico modo per imparare è proprio per il piacere di farlo.

Ti ricordi a scuola? Le materie che preferivi? Perché le preferivi?
Forse l'insegnante sapeva come catturare la tua attenzione e come alimentare la tua sete di sapere. Il suo atteggiamento era sicuramente positivo e lasciava trasparire il suo particolare piacere nel condividere il suo sapere. Ha saputo trasmetterti la sua gioia e passione, così anche tu ti sei appassionata all'argomento.

Vero?
Gioia, curiosità, passione e piacere sono alcune sfaccettature di questa qualità.

Le sue caratteristiche sono:

La sua posizione fisica è sotto il seno sinistro e si estende in tutto il lato sinistro del corpo.
E' chiamato Qalb che nella tradizione Sufi significa cuore.
Almaas A.H. (2002) Spacecruiser Inquiry, Sambala, Boston & London, da pag. 258 a pag. 268


Invito all’auto-indagine:

 

Dopo l’esplorazione di questi tre punti, t’invito a dipingere o a disegnare usando solo tonalità di giallo.
Quando hai terminato fai una pausa e ascolta musiche che stimolino in te gioia e vitalità; immergiti nelle sensazioni che via via appaiono e lascia che il tuo corpo si muova liberamente con la musica. Concediti almeno 15 minuti di danza o di movimento libero e poi riprendi il pennello o le matite gialle e fai un altro dipinto.
Nota se ci sono differenze sia in te sia nel tuo modo di dipingere.

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Come sempre, se vuoi puoi condividere con me le tue esperienze scrivendo nell'apposito spazio sottostante, specificando la tua intenzione di essere pubblicato/a nel blog o no.

 

photo credits: Devakrishna Marco Giollo Art http://www.giollo.com
CounselArt
Indira Marcella Valdameri

Iscritta nei registri di categoria professionale SIAF:

Operatore Olistico Trainer cod. LO371T-OP
Counselor Olistico Professional cod. LO184P-CO

Professionista disciplinata ai sensi della legge n. 4/2013

Informative

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